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Lletres: Paolo Conte. Novecento.

Dicono che quei cieli siano adatti
al cavalli e che le strade
siano polvere di palcoscenico
Dicono che nelle case donne pallide
sopra la vecchia «Singer» cuciano
gli spolverini di percalle,
abiti che contro il vento stiano tesi
e tutto il resto siano balle,
vecchio lavoro da cinesi? eh? eh?
Dicono che quella vecchia canzoncina
dell?ottocento fa sorridere
in un dolce sogno certe bambole
tutte trafitte da una freccia indiana,
ricordi del secolo prima, roba di un?epoca lontana,
epoca intravista nel bagliore bianco
che spara il lampo di magnesio
sul rosso folle del manganesio.. eh? eh?
Indacato era il silenzio e il Grande Spirito,
che rellentava la brina, scacciava
i corvi dalla collina?
come una vecchia cuoca in una cucina
sgrida i fantasmi del buongustai
in una lenta cantilena?
Lasciamo stare, lasciamo perdere, lasciamo andare
non lo sappiamo dov?eravamo
in quel mattino da vedere? eh? eh?
Dov?eravamo mai in quel mattino
quando correva il novecento
le grandi gare di mocassino?
lassu, sui palcoscenico pleistocenico,
sull?altopiano preistorico
prima vulcanico e poi galvanico?
dicono che sia tutta una vaniglia,
una grande battaglia,
una forte meraviglia? eh? eh?
Galvanizzato il vento spalancava
tutti i garages e liberava grossi motori entusiamati?
la paglia volteggiava nell?aria gialla
piu su del regno delle aquile
dove l?aereo scintilla?
l?aereo scintillava come gli occhi
del ragazzi che, randagi,
lo guardavano tra i rami del ciliegi? eh?eh?